
I Canavesani sono vignaioli da sempre. I nostri avi, I Salassi, coltivavano già la vite prima ancora che i Romani, conquistassero il Canavese.
Storia Vinicola in Canavese
La qualità di un vino è strettamente legata al suo territorio di origine ed una Denominazione di Origine è in fondo la fusione tra l’Ambiente Naturale e il Talento dell’Uomo che, nel tempo, ha saputo esaltare le caratteristiche dei vitigni tipici del luogo.
I canavesani sono vignaioli da sempre e prima ancora che i Romani, conquistassero il Canavese, i Salassi , i nostri avi, coltivavano già la vite. Discendevano dai Celti e da questi avevano ereditato le tecniche della viticoltura etrusca che per contaminazione si era propagata fino all’Alto Piemonte. Già a quei tempi, nelle nostre terre si faceva uso della botte, sconosciuta ancora ai Romani e si consumavano vini secchi, e non dolci come bevevano a Roma. I conquistatori faticarono a lungo a sottomettere i Salassi e quando ci riuscirono festeggiarono svuotando le cantine di Carema a testimonianza di una già esistente coltivazione della vite.
Nel corso dei secoli la viticoltura in Canavese divenne sempre più importante e il vino rappresentò a lungo l’entrata più importante dell’economia locale, diffondendosi fuori dai confini locali fu apprezzato non solo alla corte sabauda, ma molto più lontano, fino a Roma dal Papa. Fu in particolare alla fine del 1700 che raggiunse la sua massima espansione e da un censimento commissionato dal Regno di Piemonte e Sardegna nel 1819, i vigneti avevano un’estensione di ben 12.500 ettari. Nei tanti castelli del Canavese si produceva moltissimo buon vino “ che formava la rendita principale “ della provincia di Ivrea.
Nel 1761 Tommaso Valperga di Caluso fece omaggio dei seguenti versi al vino canavesano:
Ischia le ceda,
e Posillipp e Chianti
e con Valdarno pur Montepulciano
benchè ‘l suo vino fin ch’ognor si canti
Re d’ogni vin, ma d’ogni vin Toscano.
Chè col Borgogna va il Masino avanti
grato non meno e forse ancor più sano
Negli anni del Risorgimento, dell’Unità d’Italia, quando il Barolo, non aveva ancora notorietà, i vini canavesani erano considerati i migliori vini del Piemonte. In quegli anni cosi si scriveva:
“ La plaga canavesana dà splendidi vini di lusso. I vini bianchi della Serra!
Da Burolo a Cavaglià, che lusso di vini di lusso !
E all’ovest della Serra ! sino alla morena di Vistrorio !
E pensare che vi sono canavesani che si guastano il palato e visceri
trangugiando certe porcherie, che corrono in commercio,
invece di scorrere giù per i rigagnoli nelle vie oscure!
Sacrilegi enologici che gridano vendetta al cospetto della lealtà e dell’igiene !
Voi gentili signore, nei vostri ricevimenti di visite,
fate omaggio a nostri vini onesti ed eccellenti; e invece di offrire altro,
offrite il Bollengo, il Piverone, il Settimo Rottaro, il Masino, il Lessolo
e via andando pei vitigni del nostro paese !
Sono così poche le cose veramente buone che noi abbiamo,
che è nostro dovere far loro via larga.
La Cote d’Or, la Serra della Svizzera ,tra Losanna e Villenueve,
fa un chiasso indiavolato….. Les Vins de Lavaux, les Vins de la Cote !
e non son degni di lavare i bicchieri per ricevere il vino bianco
di Palazzo ,di Villareggia, di Caluso, di Loranzè, d’Orio …… purchè ben fatti.”
Sempre in quegli anni, nel 1867, i vini del Cav. Francesetti di Loranzè furono definiti eccellenti all’Esposizione Universale di Parigi, mentre quelli di Caluso furono premiati con medaglia d’oro a Parigi e a Londra e il Giurì Internazionale li classificò come i migliori vini del Piemonte. Altrettanto successo ebbero i vini di Orio del Conte Carlo della Torre che furono premiati alla mostra mondiale di Parigi e "se ne spediva normalmente in Australia, Africa e America.". Di altrettanto pregio i vini del Conte Civrone di Valperga, assimilati per qualità ed austerità ai vini di Gattinara e Lessona. Il Canavese era in quegli anni all’avanguardia anche nella ricerca vitivinicola e annoverava studiosi famosi come Lorenzo Gatta di Colleretto Giacosa che censì tutti i vitigni di Canavese e Valle d’Aosta, così come il Conte Avogadro di Collobiano a Piverone grande ricercatore e sperimentatore.
Il Gatta nel 1833, nel suo trattato - Cenno intorno alle viti ed i vini della Provincia di Ivrea - riportava che
“ la coltura della vite in questi ultimi tempi si è raddoppiata e l’alto prezzo cui venne a salire il vino per parecchi anni, fece ridurre a vigna molti terreni od imboschiti od inservienti a solo pascolo e fece pure vignare i campi più elevati. “
Un passato eccellente, connotato da innumerevoli riconoscimenti, di grande auspicio per un altrettanto futuro. Un territorio vocato dove l’ambiente morenico, il vitigno Erbaluce e la bravura dei nostri vignaioli hanno saputo fondersi in un grande vino dalle enormi potenzialità. Un vino nel quale freschezza e mineralità evocano straordinariamente l’origine dei nostri suoli. Terreni poverissimi, di sabbia e sassi strappati dai ghiacciai alle montagne più alte d’Europa , che imprimono ai nostri vini un’impronta inconfondibile di straordinaria finezza ed eleganza, vini con una storia millenaria e affascinante da raccontare.